Il Ferrariae Ducatus della Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano

Massimo Rossi

Esiste una stretta relazione tra le carte dei domini estensi conservate a Modena, rispettivamente all’Archivio di Stato[1] e alla Biblioteca Estense Universitaria[2] e il Ferrariae Ducatus, pittura murale parte del ciclo della Galleria delle carte geografiche in Vaticano. Di quest’ultima parleremo più avanti.

Le cartografie modenesi sono state redatte dall’ingegnere e cartografo ducale Marco Antonio Pasi (1537-1599) e rispondono a precisi contesti culturali: si tratta di due Descriptiones manoscritte e acquarellate che raffigurano i territori governati dal sovrano estense Alfonso II (1533-1597).

I titoli delle due topografie sono identici, tranne l’anno di redazione, ma non si tratta di titolazioni vere e proprie, Pasi è discorsivo e argomenta il suo lavoro in un cartiglio sotto le insegne araldiche ducali:

Anno a Xpi nativit. MDLXXI
Sereniss. Alfonsi II Atestini Ducis Ferrariae
totius iurisdtict.is Italicae vera descriptio
auctore M. Antonio Pasio Carpen.
eiusdem ser: ducis practico mathematico.

In essi precisa ogni cosa, il suo essere carpigiano e tecnico (practico matematico), l’anno di redazione, infine la natura dell’opera, vale a dire la vera descrizione dei domini italiani dell’ultimo duca di Ferrara.

Quella del 1571 è l’archetipo, la prima rappresentazione ufficiale dello Stato, essa inaugura una modalità di osservazione teatrale (il rapporto è di circa 1:53.800) della totale entità dei territori posseduti a quella data dalla Casa d’Este[3].

L’altra «Carta dei Ducati estensi», redatta invece nel 1580, a nove anni di distanza dalla prima, ad una attenta analisi codifica una diversa immagine dell’entità statale, e questo esito a nostro avviso, risponde a una volontà mistificatoria perseguita allo scopo di alterare dimensioni e contenuti, al fine di modificare la percezione complessiva dello Stato estense.

Dopo i primi studi sull’esemplare del 1580 da parte di Roberto Almagià[4] e la prima monografia sul manoscritto del 1571 di Alessandra Chiappini[5], negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso si sono succeduti una serie di ulteriori approfondimenti che hanno contribuito a chiarire il contesto storico-culturale dei capolavori pasiani[6]. Recenti lavori hanno fatto luce sull’esecuzione di copie manoscritte della Vera descriptio pasiana, ad opera del pittore Leonardo da Brescia, con il preciso scopo di raggiungere la sede papale romana. E ancor più recentemente si sono poste le basi per operare raffronti ravvicinati tra i due esemplari cartografici al fine di dimostrare quello che da più parti veniva solo percepito, senza tuttavia essere supportato da analisi scientifiche[7].

Nel 1571 Marco Antonio Pasi lavora direttamente per il Duca, la corte ferrarese, e mette cartograficamente in scena una rappresentazione teatrale dello Stato con modalità iconografiche e scenografiche, vale a dire offre ai privati spettatori la contemporanea visione zenitale e orizzontale degli oggetti raffigurati, inserendo nella narrazione elementi progettuali relativi a manufatti ancora in corso di definizione (i canali della bonificazione del Polesine di San Giovanni, Mesola) o che addirittura nel futuro non verranno mai realizzati (i baluardi settentrionali della cinta muraria di Ferrara).

Nel 1580 vediamo prendere forma un altro esito grafico a partire dall’originale precedente. La non eludibile richiesta papale di fornire un disegno dei domini estensi, necessario per allestire l’atlante italiano nella Galleria del Belvedere in Vaticano, costituisce la cornice all’interno della quale è avvenuta l’elaborazione alterata dell’immagine destinata al romano pontefice.

Ma ragioniamo sulle date. Il 1571 è direttamente contestuale alla pubblicazione del primo libro di carte europeo (1570), il Theatrum Orbis Terrarum del fiammingo Abramo Ortelio (1527-1598). Nel Theatrum le regioni dei vari continenti vengono ordinatamente rappresentate in scala, con carte dal medesimo formato, al fine di soddisfare le crescenti curiosità geografiche di un sempre più variegato e numeroso pubblico interessato a guardare e a leggere le descrizioni di un mondo commerciale in rapida espansione. L’umanista di Anversa predispone un progetto editoriale di visioni zenitali, dal profondo significato religioso universalistico. L’anno successivo (1572) le Civitates Orbis Terrarum di Frans Hogenberg e Georg Braun vengono pubblicate a Colonia, in diretta continuità culturale con il lavoro orteliano. Aumenta la scala, dalle corografie territoriali si passa alle topografie urbane, dalle rappresentazioni zenitali, icnografiche, a quelle a volo d’uccello, orizzontali, scenografiche.

La «Carta dei Ducati estensi» di Pasi del 1571 offre contemporaneamente questa duplice dinamica dello sguardo: documenta sia il sogno politico di una giurisdizione estense dall’Adriatico al Tirreno (cartograficamente realizzata con la presenza in un angolo del disegno di un lembo di questo mare), sia strade, nuclei urbani (città, borghi) ed edifici del potere signorile rappresentati enfaticamente fuori scala, in terza dimensione. La sintonia con i nuovi canoni rappresentativi cartografici europei è colta, quantomeno nell’accezione dinamica della rappresentazione, come spazio in divenire[8]. Tuttavia la versione del 1580 documenta, a nostro avviso, una «trasmissione ideologica della rappresentazione dello Stato estense», infatti nel processo di copiatura ed elaborazione dell’esemplare del 1580, a partire dall’originale del 1571, aree dello Stato sono state alterate e si sono verificati una «generica riduzione delle dimensioni territoriali, insieme a un diradamento dell’insediamento urbano per offrire una diversa immagine dei domini estensi»[9].

Il mandato di pagamento intestato al pittore Leonardo da Brescia, ammontante a 285 lire per «haver lucidato tutto il disegno del Statto di S. A. cioe fatto una coppia e colorita per mandarla a S. Santita a Roma, e poi per haverne fatto un’altra coppia in dissegno colorita d’acquarelle simile a quello che se ha mandato a Sua Santita a Roma»[10], ci consente in primo luogo di accertare l’avvenuta trasmissione dell’opera pasiana e in seguito di muovere ulteriori passi.

Proprio in quegli anni il bolognese Ugo Boncompagni, papa Gregorio XIII (1502-1585), affidava al frate domenicano Egnazio Danti (1536-1586), astronomo e matematico, il compito di realizzare un grande ciclo cartografico nella galleria vaticana appena ultimata dall’architetto bolognese Ottaviano Mascarino e che successivamente prenderà il nome di Galleria delle carte geografiche. Di dimensioni ragguardevoli, 120 metri di lunghezza per 6 di larghezza, questo vasto spazio espositivo andrà a raffigurare l’intera penisola italiana. In una lettera ad Ortelio del 1580, sarà lo stesso Danti a precisare l’articolazione dell’opera: «Havendo divisa l’Italia per il mezzo del Monte Appennino, ho posta da una banda della Galleria quella parte che è bagnata dal Mare Ligustico et Tirreno, et dall’altra quella che è cinta dall’Adriatico e dall’Alpi, dividendola poi secondo gli Stati et le prefetture de’ governi in quaranta parti»[11].

La novità di questo ciclo geografico sta nella modalità della rappresentazione. Per la prima volta le carte vengono riprodotte in grande formato a testimonianza di una chiara consapevolezza della funzione della cartografia: «tanto maggiore la scala, tanto più stretta l’aderenza della carta alla realtà, tanto più immediata la sua utilizzabilità pratica, tanto più significativo il suo possesso […] Chi fa il ritratto di un territorio se ne impadronisce, sia nei fatti -perché conoscenza significa accesso, utilizzazione, governo- sia metaforicamente perché chi possiede l’immagine, possiede l’anima»[12]. Il rapporto di scala prescelto costituisce un unicum cartografico: «è il primo insieme di carte d’Italia in scala topografica più di 1:50.000 in media» e copre sistematicamente tutto il territorio italiano. Danti con questo lavoro, elaborato sulla base di altre cartografie già esistenti, «inaugura in Italia la cosiddetta forma dell’‘atlante regionale’». Attraverso questa topografia della penisola, idea probabilmente elaborata dallo stesso papa o da un suo consigliere, «la Chiesa, come l’antica Roma, di cui ha ereditato le funzioni terrene, è la protagonista della salvezza e del riscatto dell’Italia»[13].

Il Ferrariae Ducatus (1582 ca.) è parte del programma iconografico della Galleria vaticana, le dimensioni della pittura murale sono di cm 336 x 431 ed essa è collocata nella zona mediana della parete ovest, quella che dà sui giardini vaticani. Il disegno documenta l’articolato dominio estense dall’Adriatico alla valle del Serchio, ai possedimenti polesani a nord del Po grande, a quelli romagnoli, modenesi, reggiani, carpigiani, fino al Frignano e alla Garfagnana. La derivazione dall’opera di Pasi del 1580[14] venne già colta da Roberto Almagià nel 1952[15], che peraltro non conosceva l’esemplare del 1571. Per comprensibili ragioni Danti inverte l’orientamento dato dal tecnico carpigiano, ristabilendo il nord in alto, ma spostandolo di 38°, così da contenere e adattare la geografia del potere estense al contesto espositivo del ciclo. La pittura vaticana conserva toponimi, oronimi, idronimi e i tratti fondamentali del disegno pasiano. I punti di contatto sono numerosi: i complessi urbani, le residenze signorili sparse sul territorio, le aree paludose, i canali di bonifica nel Polesine di San Giovanni, la tenuta di Mesola allora in costruzione, le vie d’acqua e di terra, la struttura appenninica qui più compressa[16]. Certo il tratto si fa più stenografico, a causa del contesto all’interno del quale la pittura murale è inserita, territorio fra territori, quadro regionale tra gli altri.

Inoltre non bisogna dimenticare che lo scopo celebrativo dell’operazione dantiana aveva inserito brani storici assenti nell’originale pasiano, come l’assedio di Mirandola e l’ingresso di papa Giulio II nel 1511 e la targa relativa ai confini stabiliti nel 1579 tra territorio ferrarese e bolognese; inoltre dopo il pontificato di Clemente VIII, quindi dopo la Devoluzione di Ferrara alla Santa Sede (1598), erano state fatte aggiunte al disegno, come la targa celebrativa relativa appunto alla Devoluzione e due trompe l’oeil: uno con la pianta di Ferrara databile al periodo di Urbano VIII (papa dal 1623 al 1644), l’altro con la pianta di Comacchio eseguito da Giovanni Battista Magni tra il 1647 e il 1650.

Anche il Ferrariae Ducatus, così come l’intera Galleria, a causa dei danni dovuti all’umidità ha subìto restauri e aggiornamenti geografici, questi ultimi sotto la «direzione scientifica» del tedesco Lucas Holste (Luca Holstenio, 1596-1661). Come abbiamo visto nella tavola del Ducato di Ferrara il modenese Magni, oltre all’aggiunta delle piante già menzionate, inserisce la Fortezza Urbana presso Castelfranco Emilia. Tuttavia, come rileva Lucio Gambi nella scheda descrittiva della pittura murale, l’artista non aggiorna la struttura idrografica che pure dall’epoca del disegno dantiano aveva subìto importanti modificazioni, come il Taglio di Porto Viro (1604), l’immissione del Reno nella valle Sammartina (1604) e del Santerno nella valle San Bernardino (1604), così come non documenta l’incipiente crisi del sistema di scolo della Grande Bonificazione ferrarese.

La visione dell’atlante regionale italiano esposto nella Galleria vaticana sarà sostanzialmente elitaria. Le quaranta tavole dirette dal perugino Egnazio Danti offriranno un «bellissimo spasseggio»[17] a Gregorio XIII, che con questo gesto artistico «mira a rappresentare scientificamente lo spazio per meglio controllarlo e governarlo»[18]. L’interesse coevo per la Galleria è abbastanza deludente[19], se ne parla per sentito dire e i geografi che hanno avuto la possibilità di osservare le topografie hanno espresso giudizi poco lusinghieri come Filippo Pigafetta e Giovanni Antonio Magini[20]; occorre altresì dire che questi ultimi stavano lavorando a progetti in diretta concorrenza con il ciclo geografico (all’Italia Magini, all’edizione italiana del Theatrum orteliano Pigafetta) e che lo stesso Danti riconoscerà l’imperfezione e la complessità della sua restituzione. A questo proposito, in una semplice iscrizione contenuta nella Sallentina Hydrunti Terra lo scienziato perugino firma l’opera e ne dichiara modalità compositive e cura scientifica:

«Poiché nel costruire questa Corografia dell’Italia, ci si è dovuti attenere a quegli autori che descrissero i molti luoghi dell’Italia, terrestri e marittimi (avendo osservato in diversi modi la latitudine e la longitudine) e con vari dubbi alle relazioni di coloro che percorsero luoghi particolari, a nessuno deve sembrare strano che non siano qui localizzati i piccoli borghi. Abbiamo curato tuttavia che i gradi e i minuti di longitudine e di latitudine rispondessero esattamente ai luoghi più insigni (per quanto può comportare una Corografia) e questo voleva che fosse manifesto fra’ Egnazio Danti perugino dell’Ordine dei Predicatori».

Scrivendo a Ortelio il domenicano precisa l’unitarietà degli elementi figurativi presenti nella Galleria, oltre alla volontà di pubblicare a stampa le tavole portandone il numero da 40 a 48. Le topografie, insieme al ciclo dei miracoli accaduti nelle varie province illustrati sulla volta, costituiscono un unico quadro interpretativo del messaggio temporale e spirituale consegnato da papa Boncompagni[21]. La rappresentazione geografica «con la sua struttura a deambulacro dà forma al concetto d’Italia producendo attraverso l’ordinamento spaziale sistematico delle tavole regionali e dei fatti storici o religiosi che vi sono connessi il modello dell’unità nel continuum territoriale, al di là dei confini politici degli stati»[22].

La Galleria del Belvedere ospita uno degli ultimi cicli geografici[23], in esso vi è una grande esposizione di luoghi resi visibili dall’adozione di un ravvicinato rapporto di scala solitamente riservato agli occhi privati dei governanti, e da qui, come dichiarato dal realizzatore, l’implicita generazione di «errori» geografici connaturati alla disomogeneità delle tavole originali utilizzate per dar forma al progetto unitario. Ma in queste tavole è ancora rintracciabile la dimensione temporale sia interna, scandita dalla narrazione degli eventi storici, sia esterna, in alto sulla volta, con l’evocazione di episodi tratti dalla storia religiosa. E non a caso il tempo e la sua misura ufficiale è contestuale al contemporaneo impegno di Danti per la riforma del calendario voluta anch’essa da papa Gregorio XIII. È questa un’ulteriore chiave di lettura del ciclo ben individuata da Marica Milanesi: «così come assume come proprio compito, promuove, e controlla, la riforma del calendario, monopolizzando per il futuro la scansione del tempo sia religioso che laico, il papa patrocina la miglior cartografia possibile, e a una scala inaudita, per tutto il territorio -sacro e profano insieme- della penisola […] Per la prima volta, la Chiesa assume apertamente un ruolo di guida attiva anche in campo geografico, come ha già fatto in campo cronologico, e come farà di lì a poco, dopo Galileo Galilei, in campo cosmografico»[24].

Questo ciclo esprime ancora un significato emblematico, trasmette un’ideologia, prima dell’avvento di una diversa modalità di organizzare la visione del mondo. La formula dell’atlante, a partire dal Theatrum orteliano, sarà responsabile della progressiva «imbalsamazione del sapere geografico che si imporrà a partire da quegli anni, via via che dalla carta si andrà esigendo sempre più esattezza geometrica e “fedeltà” di figurazione […] e che troverà un formidabile mezzo nella stampa, col suo rendere definitiva, immodificabile e quindi cristallizzata la carta e con essa l’informazione, ovvero la geografia che vi è trasmessa»[25].

I disegni di Marco Antonio Pasi appartengono alla feconda stagione della cartografia che contiene ancora la dimensione temporale, narrativa e visionaria, insieme alla progressiva codificazione euclidea dello spazio, in cui il tutto è descritto e trascritto, e ancora si coglie il dinamismo e la vitalità interpretativa negli oggetti rappresentati. La carta riflette ancora il mondo, o una parte di esso, ma sempre colto da un punto di vista umano, diretto, coinvolto, interessato.

Attraverso questi ulteriori elementi di indagine disponiamo forse di maggiori informazioni per leggere la manipolazione della «Carta dei Ducati estensi» di Marco Antonio Pasi che, a partire dall’archetipo del 1571, progressivamente modula altre forme e contenuti di sé, fino all’esposizione permanente vaticana, anch’essa ciclo narrativo, parziale, contraddittorio e proprio per questo quanto mai vitale e immanente.

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Note

[1]Marco Antonio Pasi, «Carta dei Ducati estensi», 1571, Archivio di Stato di Modena, Mappe in telaio, pannello M, manoscritto a colori, 2060 x 3220 mm.

[2]Marco Antonio Pasi, «Carta dei Ducati estensi», 1580, Biblioteca Estense Universitaria, Modena, C.G.A.4, manoscritto a colori, 1760 x 3120 mm.

[3] Sulle competenze tecniche in campo teatrale di Marco Antonio Pasi si veda Rossi 2008b.

[4] Almagià 1929.

[5] Chiappini 1973.

[6] Bondanini 1981, Gambi 1982, Biagioni 1984, Rossi 1986, Ceccarelli 1990, Gambi, Pinelli 1994, Ceccarelli 1998, Rossi 1999, Federzoni 2001, Federzoni 2006, Federzoni 2006b.

[7]Rossi 2008.

[8] Si veda Rossi 2008b.

[9] Rossi 2008.

[10]Ceccarelli 1998, p. 35. Il mandato di pagamento si trova in ASMo, Camera Ducale, Munizioni e Fabbriche, reg. 231 (1581), c. 117v. Risulta inoltre che Leonardo da Brescia nel 1580 ha percepito 776 lire «per haver fatto il disegno di tutto il stato di S. A. et altre confine dal grando in picolo, e dal picolo in grande sempre in misura e fu principiato sino dello anno passato», ASMo, Camera Ducale, Munizioni e Fabbriche, reg. 227 (1580), c. 124v.

[11]Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, p. 10.

[12] Ibid., , p. 80.

[13] Ibid., p. 92. Si consiglia la lettura del saggio di Marica Milanesi, pp. 73-98.

[14] Per un approfondimento su questi aspetti rimando ancora a Rossi 2007.

[15]Almagià 1952, p. 28.

[16] Si veda la descrizione geografica nella scheda di Lucio Gambi in Gambi, Pinelli 1994, pp. 307-313.

[17] Così si esprime Marc’Antonio Ciappi, biografo di papa Boncompagni, citato da Antonio Pinelli in Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, p. 35.

[18]Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, p. 16.

[19] Si veda il contributo di Paola Sereno in Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, pp. 133-141.

[20]Almagià 1952, pp. 8-10.

[21] Antonio Pinelli individua tre cicli tematici sulla volta della Galleria: miracoli, sacrifici e virtù cristiane, Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, pp. 102-120.

[22] Ancora Paola Sereno in Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, p. 139.

[23] Ricordiamo, tra gli altri, quello di Alessandro Farnese a Caprarola (Viterbo) e quello realizzato a Firenze per Cosimo I proprio da Egnazio Danti.

[24] Marica Milanesi in Gambi, Milanesi, Pinelli 1996, p. 83.

[25] Paola Sereno in Gambi, Milanesi, Pinelli 1996,
p. 140.

Si ringraziano i Musei Vaticani per la collaborazione