Descrittione della Porta di San Benedetto della città di Ferrara, de’ luoghi delitiosi, che erano attorno le mura di essa, e del ressiduo de giardini ducali

ALBERTO PENNA 1671

frontespizio del testo di Alberto Penna
Presso la Biblioteca Comunale
Ariostea di Ferrara

“Si come tra le cose segnalate fatte da Serenissimi Estensi allora, che dominavano questo Stato non ritengono gl’ultimi luoghi l’ampliatione, e la fortificatione della città di Ferrara ridotta à quel segno d’esquesita fortezza, che permetevano le regole di que’ tempi, così trà le parti di questa si rende molto singolare la Porta di San Benedetto per le cause da esprimersi nel seguito del presente discorso.

Hebbero sempre mira que’ Prencipi Gloriosi d’accopiare assieme l’utile, et il dilettevole, e se bene questa loro proprietà spiccò in tutte le loro attioni, ciò seguì perciò più particolarmente nelle fortificationi fatte da essi attorno le mura della Città con tanta magnificenza, e maestà, che maggiore desiderare non si poteva, poiche furono così constituite, e disposte, che non solo rendessero sicura e forte questa piazza, mà che nello stesso tempo riuscissero vaghe, e riguardevoli, in maniera che, et in pace, et in guerra prestassero à loro Signori servigio proportionato alla congiuntura, che però, acciò potessero sodisfare al genio particolare di ciascuno furono per la maggior parte ordinate in guisa, che in se stesse contenivano e Pianure, e Colline, e Montagne, e Stagni, e somiglianza di Fiumi, e Grotte, e Palazzi, e Giardini, et Horti, e Parche, et Ucceliere, e Vivai, e Vigne, et in somma tutto ciò, che di vario, e di vago poteva dilettare l’occhio, et appagare gli altri sensi; Dissi per la maggior parte, poiche dal Castello Thedaldo, che era dove hora è la Fortezza girando sù la mano destra sino dove era la Porta del Barbacane (hora chiusa, et allora aperta oltre quella di San Giorgio) non vi era cosa alcuna delitiosa, come che il sito non lo permettesse in riguardo, che per essere à questa mura antiche fabbricate le case Cittadine molto vicine non restava trà queste, e quelle spatio proportionato à tal servigio.

Tutte le sudette cose vedevansi disposte parte trà il rimanente delle mura della Città, et una gran fossa, che alla maggior parte del loro circondario caminando paralella lasciava à piedi de terrapieni (che per la loro smisurata grandezza rassomigliano più tosto Colline, che argini) una gran strada, che piantata da ambe le parti d’Olmi serviva d’ombroso Viale, ugualmente distante dalla quale un’altra simile si stendeva sù terrapieni sudette parimente piantata d’Olmi, che intrecciando scambievolmente le loro radici sotterra, e le loro ombre nell’aria con quelle de disposti à piedi, come s’è detto de medemi Terrapieni rendevano più forti con quelle i Terrapieni stessi, e con queste assicuravano il passegio dalle ingiurie del sole, è da rigori del caldo. Con tall’ordine era piantato tutto lo spatio fortificato da Ercole Primo, che fu dalla suddetta Porta del Barbacane girando sù la mano destra fino à Porta San Benedetto, non con altra differenza, fuor che dal Baloardo dalla Montagna di San Giorgio (così detto per una Montagna ivi fabbricata) fino à Porta San Giovanni Battista gl’alberi ivi piantati era mantenuti bassi, e come qui si dice accavazzati, cosa non praticata con gli altri, che tant’alto s’ergevano, quanto la loro natura, e la bontà del terreno gli permettevano. S’entrava in questo luogo di delitie per un gran Portone d’ordine Dorico magnificentissimamente construtto, che oltre l’ingresso, che prestava in esso, serviva anco di termine inferiore alla Via detta della Giaia, mà non già alla vista, che penetrando più oltre s’incontrava in un Laberinto, che attorniato da foltissimo bosco di varij arborscelli, trà la montagna sudetta, et il Terrapieno della città era in intricati viali distinto, nel di cui centro era situata un fonte di marmo. Trà questo et il mentovato ingresso era una gran piazza, che à destra veniva disgiunta dalle mura della Città da Giardinetto di fiori e piante gentili, selciato e distinto in varie figure da mattoni cotti, e tagliati, in larghezza tale, qual’è tutta la grossezza del Terrapieno, sopra del quale per di qui si saliva, essendone in questa parte la muraglia à bella posta priva, acciò alle occasioni potesse fiacheggiare e difendere un pezzo di Cortina, e due Baloardi in giusta distanza piantate, attaccato al qual Giardineto, era una Uccelliera in cui veniva nodrita numerosa diversità di Uccelli. A sinistra di detto Laberinto stava la Montagna già nominata fatta à mano. sopra due stanze à volta, che ritenevano la somiglianza di Grotte, l’interiore delle quali era di forma quadrata, non molto grande, lavorata à musaico, et adorna di Grotteschi, et Arabeschi di rilievo gentilmente coloriti, e messi à oro l’altra poi che era la più esteriore era di molto maggior capacità, e di forma ritonda, ornata anch’essa di varij nicchi, et abbellita di altri lavorieri simili, e di pitture parimente poste à oro, all’entrata delle quali stanze, che era à piedi della sudetta Montagna, verso mezo giorno, era un’altro fonte pure di marmo di figura quadtata. E questa Montagna come s’è detto non naturale, mà fatta à mano alta sopra il piano della piazza sudetta, pertiche venticinque di misura di Ferrara; sopra essa s’ascende per due vie poco meno, che opposta l’una all’altra, che già erano coperte di pergolate di varie sorti di uve esquisite, che continuavano anco attorno alla piazza, in cui terminava la parte suprema della stessa Montagna, e che serviva non solamente per porgere commodità di diletto alla vista, vagheggiando la città tutta, et il paese vicino, mà anco di Cavaliere à difesa della stessa Città, e del Po che ivi vicino correva, dominandolo essa, et assieme due Baloardi, et una Piatta forma in misura disposti; Il rimanente d’essa Montagna era tutto piantato di scielta varietà di piante di frutta disordinatamente ordinate, fuorche dalla parte verso la Città, che era coltivata à pretiosissima Vigna dalla sommità al piede, che terminava in una bellissima, e gran Peschiera lunga quanto la stessa Montagna, e molto larga, e profonda, tra la quale, e le case de Cittadini era un superbissimo Pergolone, sostenuto da quantità d’archi di ferro impostati sù altre tante coppie di Collone di marmo, et uniti con legni di Larice, non più lungo della stessa Peschiera, tutto coperto di quantità granda di viti, che lo rendevano molto ombroso.

Terminavano tutte in una linea dalla parte verso Levante le sudette Montagna, Peschiera, e Pergolone, e perche da questa parte la fortificatione si ristringeva, lo stesso faceva anco la Montagna medema, per lasciare giusti spatij à passeggi, e per non interrompere l’ordine delle altre delitie. Ciò causava, che nel procedere avanti, il sito si riduceva alla forma triangolare, che ristretto per li Viali necessarij lasciativi, era ripieno d’herbaggi, cinto d’ordinate siepi di rose, e piantato di diversità di fruttari, terminava vicino alla Chiesa di S. Tomaso, come dalla forma istessa del sito si può tuttavia argomentare.

Dalla parte al sudetto Laberinto opposta nell’angolo destro di detta piazza, et all’entrata in essa, era una fabbrica in forma di Palazzino, che tuttavia è in piedi d’ordine rustico di pietre cotte tagliate, ornato di molti merli attorno il coperto, nella facciata dinanzi del quale sono tre volti, che servono anco di porte per entrare in esso, formati da pilastri, et archi dello stesso ordine. In mezo hà una corte non molto grande, attorno la quale sono stanze, non molto capaci, che servivano per albergo di chi era destinato alla custodia delle sudette delitie.

In questo sito, erano per compimento di piaceri, nodriti molti Galli d’India, che gareggiando con le loro piume di varietà, e vivacità di colori co’ fiori medemi mantenivano moltiplicati, e vivi archi di pace alle sodisfattioni del senso della vista.

Salone dei Mesi
Schifanoia.
Salone dei Mesi. Parete est, mese di marzo

Da questo luogo di piaceri caminando su’l Terrapieno verso Levante si giungeva à porta San Giovanni Battista, dove attraversata la strada di questo nome sì passava sù l’altro Terrapieno, che verso l’angolo destro detto del Parco si stendeva, sopra, et à piedi del quale continuava il già detto ordine di piantamento d’Olmi, fino vicino all’angolo sudetto, e doppo girava, come s’è anco detto fino à porta San Benedetto. Tutto questo spatio è fortificato all’antica, con muraglia si, mà non molto forte, tramazata da Torrioni mezo tondi non molto l’uno dall’altro distanti, e col Terrapieno così lontano da detta muraglia, che trà questa, e quello riesce come una profonda fossa. Sù l’angolo sopra nominato destro del Parco formato da detta muraglia, e dall’altra che va verso la Porta de gli Angeli era fondata parte di una bellissima fabbrica, dalla sua forma Ritonda nominata, che posando con la parte opposta sù l’angolo esteriore del sopradetto Terrapieno riusciva con gli altri due suoi lati nel fondo del fosso trà li sudetti muraglia, e Terrapieno, dentro la qual fabbrica si entrava al piano dello stesso Terrapieno, e perché riusciva stanza assai fresca veniva molto frequentata ne tempi dell’Estate da Principi, e delle Dame. Ivi contigua nell’angolo interiore di detto Terrapieno era una Collinetta, non più alta di pertiche tredici Ferraresi, ornata di Cedri, Naranzi, altri agrumi, et Ulivi, à piedi della quale si stendeva una gran pianura di forma quadrata che havendo da un capo, et un lato i Terrapieni della città, che s’uniscono all’angolo sopra mentovato terminava dall’altro capo con le fabbriche, e mura del Quartiero detto il Parchetto, e dall’altro lato con la clausura del monastero della Certosa, e con alcuni horti di diversi particolari, tra la quale clausura, et horti era l’ingresso principale in questo luogo per una strada chiamata di Santa Lucia Vecchia, che incontrando un stradone de sestuplicate fille d’Olmi altissimi terminava nel Terrapieno verso il Parco. All’entrata sudetta à mano destra immediatamente erano sei fille di eminenti Pioppi che s’univano ad un bosco d’alti, e densi Olmi, che continuava fino al Terrapieno esposto à Levante. In mezo à sudetti piantamenti era la già detta pianura quadrata distesa, e divisa da larghissimi viali in sei gran quadrati circondati di siepi di verdure diverse, attorno à quali erano certi canaletti di pietra cotta tagliata che à piacere di chi commandava ricevendo l’acqua, che dalla sommità della già detta Collinetta artificialmente sorgeva, e per altri simili canaletti da essa scendeva formavano quasi tanti Ruscelli, e ne tempi delle pioggie scolavano l’acque superflue. Quali Quadrati venivano coltivati ad hortaglia, et erano ornati di quantità di Vasi di fiori, d’alberi diversi, e di frutta, e vigne esquesitissime. Alla sinistra poi delli sopranominati entrata, e stradone era uno spatio maggiore del sopra descritto diviso da esso col mezo della fossa già detta paralella alle mura della Città, che interrompendo l’ordine suo primiero per chiudere questo spatio, e lasciare libero l’altro, scorreva sotto il sudetto ingresso, e si portava verso il già mentovato Terrapieno posto à Levante per continuare il suo camino parello alle mura.

Era questo spatio, o seraglio anch’esso di forma quadrata piantato in parte d’attorno à foltissimo bosco, e diviso in due parti da un bellissimo stradone di quadruplicate fille d’Olmi da cima che interrompendo il sopramentovato, che imbocca la strada di Santa Lucia per incontrare il viale di mezo del già descritto spatio hortivo terminava con l’altro capo superiore nella muraglia del sudetto quartiero del Parchetto (che da questo seraglio trasse il nome) dove haveva l’ingresso, e l’uscita per un bellissimo Portone di pietra cotta ivi à tall’effetto edificato. In questo spatio erano trattenuti varij animali selvatici come capri, daini, lepri, e simili, acciò servissero non solo di passatempo mirandoli, ma anco di trattenimento particolarmente alle Dame quando senza uscire in campagna volevano godere lo spasso delle caccie.

Dall’angolo della già detta Montagnola fino à Porta de gl’Angeli, e da questa girando fino à quella di San Benedetto non era singolarità maggiore del Palazzo di Belfiore nel quale, oltre le bellezze della fabbrica si vedevano parimente, Giardini, Vigne, Boschi, Peschiere, Fruttari, et altre simili vaghezze con ordine bellissimo disposte; mà perche venivano separate dalle intraprese à rappresentare in questo luogo dalla sopradetta fossa parallela alle mura non si descrivono quì più à minuto.

Nella sudetta forma era disposto tutto il circondario già detto ne luoghi sopra descritti, ne quali si vedevano separatamente ciascuna delle raccordate delitie; mà nello spatio, ch’era dalla Porta di San Benedetto, fino al Castel Thedaldo, situato come si disse dove hora è la Fortezza si scorgevano tutte unite, poiche ivi erano come in compendio ristrette. E questa Porta così chiamata dal Baloardo che dal Monastero, e Chiesa dedicate à questo Santo trassero il nome, non molto lungi da esso fabbricate, e che danno anco il nome alla strada, che ne medemi Baloardo, e porta và a terminare, et è molto riguardevole per molti capi, come a dire per il bellissimo Baloardo, che la copre riuscendo essa nella parte interiore della di lui spalla sinistra, e per ciò restando non solo totalmente coperta, che non può non dirò essere battuta da cannone nemico, ma ne meno essere scoperta per di fuori, e nello stesso tempo resta guardata, e difesa dalla Fortezza, che non molto distante da essa è situata. Per havere il passaggio coperto sotto il corpo del medemo Baloardo. Per la sua struttura, che veramente è mirabile in riguardo alla commodità, che può prestare di trattenervi al coperto corpo di guardia riguardevole di fanteria, come anco qualche numero di cavalli, essendo detto Baloardo da gli angoli, che fanno le fronti con le spalle in dentro vuoto di sotto, e coperto di sopra dove ha piazza capace per li fianchi, e comodità per fare ritirate, e combattere in occasione di Breccia, qual piazza è sostenuta da alcuni archi di pietra cotta alzati sopra grossissimi pilastri, sotto, e trà quali resta come s’è detto libero l’adito all’uscita, et entrata per detta Porta, e sito per le funtioni già dette, e se bene come s’è mostrato tutte le altre fortificationi, e loro adiacenze servivano nello stesso tempo anco de delitie, e trattenimenti le più singolari che fusero in Italia, questo sito nondimeno potevasi con raggione chiamare superiore à gli altri, non solo per la sua situatione, ma ancora per la moltiplicità, e singolarità maggiore di delitie, che conteneva in sé; poiche oltre la bellissima fabrica, i rimasugli della quale tuttavia si conservano in essere, che corrispondeva sul detto Baloardo, che gli serviva di spatiosa corte dalla parte di fuori, eravi da quella di dentro la Cedrara giardino così chiamato; perché era composto di piante di Cedri, e di altri agrumi di singolare bontà, e bellezza, che difesi dal vento di Tramontana da un altissimo muro à questo effetto alzatovi, e che anco di presente è in essere, venivano anco assicurati dal freddo nel tempo del Verno con coperte, e seraglie ammorcibili. Da questo sito era in eccellenza dominato, e vagheggiato quel così bel Palazzo, che dalla vista che faceva Belvedere fu nominato, che fabricato in una Isoleta in mezo al Po immediatamente sopra la Città, e dottato dall’arte di un estratto di sfoggiate delitie; meritò di essere dal famoso nostro Poeta Ariosti celebrato dicendo d’esso:

«Che v’havria con le gratie, e con Cupido / Venere stanza, e non più in Cipro, o in Gnido».

Quivi oltre la sudetta fabrica, erano due gran Loggie à volta, impostate sopra Architravi, che sostenuti da buon numero di collone, e di pitture esquisite da primi huomini, che vissero al tempo di Alfonso secondo in questa professione ornati, con colori chiaro, e scuro, rendevano non solo maestà al luogho, ma porgevano assieme commodità al passeggio, e diletto all’occhio.

Tra la Cedrara sudetta, et il Monastero di San Gabriele situato più verso la piazza della Città, alla sinistra del Canale infrascritto, era una pianura di forma quadrata, e di superficie considerabile ripartita in quattro parti da due gran viali di Cipressi, che nell’incrucciatura di mezo s’univano ad angoli retti, ciascuna delle quali parti era uniformemente divisa in varij ripartimenti: tutti triangolari da alcuni vialetti coperti à volta da arbusti diversi, che tendendo tutti in un centro facevano per moltissime vie diverse diletevoli prospettive, che in buona parte terminavano in vaghissime pitture, nell’arte de quali triangoli era piantata quantità grande, e diversità peregrina di fruttari, coltivandosi il rimanente ad hortaglia.

Di qui caminavasi un gran stradone di Olmi da cima, à quali erano maritate pretiosissime viti piantato trà lo spatio, che restava trà la sinistra pure di detto Canale, che pure ad uso d’horto si coltivava, e le mura sinistre che chiudevano li giardini Ducali sino all’altro giardino, che alla sinistra dell’abitatione de Principi chiamata Castello verso la Porta de gli Angeli era situato, e nomato il Giardino del Padiglione da un grande edificio nel mezo d’esso piantato di forma circolare, alzato sopra una gran base di marmo su la quale s’ergeva numero convenevole di collone quadrate simile, che sostenevano un sontuoso architrave sul quale stava appoggiata maestosa una cupola coperta di piombo, nella di cui sommità era collocata una palla di rame dorata che da se mandava fiamme, impresa della Serenissima casa di Este; Attorno questo Giardino girava una bellissima spaliera di rose, e lungo la fossa del Castello dal Rivellino che hora in bocca la via de gli Angioli fino olrre dove è il Colleggio Urbano si stendeva un spatioso, et alto pergolone di viti, formato da archi di ferro impostati su collone di larice.

A questo luogo, e da esso à tutti gli altri descritti di sopra potevano quei Principi portarsi à loro talento in qual forma più loro aggradava, tanto in barca per il Canale hoggidi Panfilo nominato (che correndo lungo i Giardini medemi serviva à quel tempo per condurre l’acque del Pò à rinfrescare quelle delle fosse del Castello, et hora serve per continuatione della navigatione dalla piazza al Ponte del lago scuro) quanto à piedi, in carrozza, et à Cavallo, già che alcuni archi che attraversano li medemi Giardini, e Canale acciò le strade che sopra i medemi passano non restino interrote glie ne porgevano agiata comodità, et in tutte le forme era sempre così coperto il camino, che niuno di fuori poteva penetrarvi con l’occhio.

Dal sudetto luogo pure (se bene l’entrata principale era vicino la Chiesa di San Biagio per un gran stradone piantato di Cipressi) s’andava alla Castellina casino di piaceri (così chiamato dalla sua struttura, che haveva qualche forma di fortificatione) che situato corrispondente con la sua parte derrettana à Tramontana ne Giardini piantati su la destra del sudetto Canale serviva non solo di diporto, e diversità di trattenimento, ma ancora di comodo per la sanità, havendo in se medemo oltre un buon numero di vaghissime habitationi, anco un bellissimo Bagno coperto in una stanza mezo sotterra, attorno il quale erano varij ornamenti, et alcune balaustrare che formavano un corridore, dal quale si scendeva per due scale di marmo, che erano in due angoli opposti nello stesso Bagno, che era selciato di lastre di marmo molto grandi. Attaccata ad esso era la stuffa, e luogo da scaldare le acque, che per certi acquidotti à questo effetto accommodati, erano tramandate nel Bagno, dal quale uscivano poscia all’aprire d’alcune picciole cattarate, per ricettarsi nel cavo sudetto hoggidi Panfilo nominato, mediante certa picciola chiavichetta corrispondente in un pozzo quadro ivi à canto fabbricato, dove al loro uscire cadevano.

Trà questa fabrica, et il Terrapieno della Città posto ad occidente, era disteso un gran quadro di terreno, che coltivato ad horato, piantato di varietà, e quantità di pretiosissime frutta, et attorniato da vaga siepe di rose, ergeva nell’angolo verso il Terrapieno sudetto, e verso dove hora è la Fortezza un picciol colle alto sopra il piano pertiche quatordici di questa misura, circondato da verdeggiante seraglia di Bossi, che poteva anco alle occorrenze servire di Cavaliero. Da questo si faceva passaggio in un Baloardo ivi vicino, ridotto anch’esso in maestevole Giardino, ornato di fiori, e semplici pregiatissimi, attaccato al quale sul Terrapieno verso, e fino alla porta di San Benedetto, era un Bosco densissimo d’Elici, che si nomava la Ragnaia quale serviva per ridotto, et asilo d’Uccellami, e congiungevasi, con la già detta Cedrara per compire il giro, mà non già il numero delle Ducali delitie in questo genere, poiche per quanto si stendeva il medemo Bosco nella parte di fuori della muraglia della Città, et attaccato ad essa muraglia era una gran Ringhiera di Lastroni di Marmo, sostenuti da modioni simili, con l’appoggio di ferro, e co’l coperto di lamine pure di ferro su la quale si scendeva dalla Cedrara sudetta per alquanti gradini pure di marmo per godere, e vagheggiare quella parte di fossa, che per le sue larghezze, profonditi, et uso al quale era destinata, Peschiera nominavasi, nella quale erano pesci in qualità, e quantità considerabile così avvezzi che al suono di campanello nella suprema superficie dell’acqua comparivano à pigliare il cibo; che d’indi gli veniva gittato.

In questa guisa perpetuavansi l’Estensi, e Ferraresi delitie, che seguitando il periodo di parte dell’altre cose della Città medema, e dello stato si sono poco meno, che anichilate e distrutte affatto; Ho detto poco meno, poiche ancora ne restano in piedi gli avanzi, da quali puossi argomentare che fussero molto maggiori senza comparatione di quello che questa mia penna hà saputo, con pochi tratti di inchiostro compendiosissimamente abbozzare; E veramente chi considera la diversità, e diferenza grande, che è dalla forma presente alla già descritta, non può di meno di non risentirsene, con voci di esclamatione vedendo che dal posto, e dispositione sopradette ha fatto passaggio all’hodierno, che quanto sia diverso dal raccontato, può ciscuno argomentate paragonando l’uno con l’altro, imperoché per caminare anco in questo, con l’ordine osservato nella premesa descrittione entrando ne luoghi delle sudette delitie, per il Portone della Giara, più non s’incontrano altrimenti Giardini, non Laberinto, non Uccelliera, non Grotte, e non fonti per essere stati tutti rovinati, disfatti e spianti; Più non si discerne Peschiera, per essere stata ripiena di letame, et uguagliata al suolo; Più non Vigne, non Pergolati, e non fruttari, per essere stati tutti tagliati, e sradicati; Solo vi rimangono per reliquia la montagna affatto nuda, se non in quanto viene coperta dalle spine, et il Palazzino mentovato di sopra alla parte destra dell’ingresso così mal concio nondimeno, che rassembra più tosto un porcile, che una humana habitatione in tal posto ridutto da soldati, che l’hanno habitato, e che tuttavia se gli aquartierano.

Caminando di quì verso Porta San Giovanni Battista, e verso il Parco vedonsi continuati gli ordini d’Olmi altissimi moltiplicati, et accresciuti di numero sotto il Pontificato d’Urbano Ottavo, essendo stati per prima cavati quei più grandi, che vi ci si ritriovavano per servitio della Fortezza. Da Porta San Giovanni Battista fino alla Montagnola detta ritrovarsi sù l’angolo destro del parco, non vi è altra novità, che lo tagliamento di moltissimi Olmi, e di altri alberi, ma giungendo nella pianura, ch’è à piedi di detta Montagnola più non si vede il Palazzo ritondo, essendo stato gittato à terra da fondamenti; la Montagnola istessa più non è all’altezza sua solita, più non vi sono Horti, più non Giardini, più non Compartimenti, più non Viali, non Boschi, non Parco, non fruttari, non fiori, non Siepi, non Arbusti, non Vasi, non Cedri, non Ulivi, e più non altro che Prato, Pascolo, fenile, e Mandra da Vaccine, al qual uso è stata convertita, e destinata la già detta pianura, nella quale si scorgono per ultimi avanzi alcuni pocchi Olmi nel mezo, che mostrano i rimasugli de due stradoni che andavano alla Porta, che imbocca la strada di Santa Lucia, et all’altra detta del Parchetto hoggidi, anc’essa disformata à misura del restante.

Più oltre passando sul Terrapieno che và dalla Porta de gl’Angeli, à quella di San Benedetto niente di meglio si vede, poiche continua lo stesso spiantamento d’Alberi, e s’offende la vista nel guasto del Palazzo di Belfiore, e nel disfacimento del Bosco, e del Giardino di detto Palazzo, che se bene non compresi, come già si disse nelle sopradette delitie, le accrescevano nondimeno anch’esso col loro prospetto, che dalle medeme si godeva, essendo essi pure di presente ridotto à Pascolo, et à Prato.

Giunti à Porta San Benedetto altre volte compendio di delitiosissime meraviglie ivi più non apparisce vestigio alcuno ne di Cedrara, ne di Ringhiera, ne di Loggie, ne di Pergolati, ne di Vigne, ne di Giardini, ne di Collina, ne d’alcun’altra delle cose delitiose, che quivi già si godevano, e caminando da detto luogo fino al Castello dal lato sinistro del Canale Panfilio niuna cosa si scorge, che possa servire d’argomento della forma passata, e molto meno del Giardino del Padiglione, così singolare essendo il tutto ridotto ad Horti sconcertati di diversi particolari, restando la parte destra à detto Canale inculta affatto fino alla Castellina, che disfatta in parte, e nel rimanente resa stalla da Cavalli non lascia altra memoria, che miseri e pocchi avanzi di fabbriche, che nondimeno servono per attestare qual fusse per prima; Dal qual luogo sino alle mura della città non apparisce altro, che un gran guasto, che continua girando verso mezo giorno fatto, come altrove si disse con la demolitione di quatro milla, e più Case, di varie Chiese, di molte Strade, di Palazzi diversi, e della superbissima fabbrica del Torrione tondo, che trà gl’altri usi à quali era destinato serviva di regolatore à certe acque, che dal Pò uscendo formavano una Fontana nella Piazza detta de Calzolari, e rinfrescavano l’acque della fossa del Castello dalle quale sortendo correvano per alcune Doccie, e portavano parte delle immonditie fuori della Città per la fossetta di Val d’Albero nel canal bianco. Qual demolitione fu ordinata per dar luogo alla Fortezza, e sua spianata edificata nella forma, e sito in che di presente si ritrova, à caggione della qual mutatione, e d’altri simili seguite nella stessa Città, e nel paese non potendosi dire. Tantum aevi mutare potest longeva vetustas, essendo seguite in causa di varij accidenti in pochissimo spatio di tempo, si può raggionevolmente esclamare: O quantum mutatus ab illo. Effetti proprij delle vicendevolezze del Mondo, che non havendo saputo perdonare, à mausolei, ne à Colossi, ne ad altre simili fabbriche con raggione giudicate meraviglie mondane atte à contrastare di durata con l’Eternità, non lasciano occasione di stupirsi se hanno saputo causare tanta mutatione in cose senza comparatione à quelle inferiori etc.