Il 15 settembre in un parco di Ancona un agente di Polizia ha esploso un colpo di pistola che ha ucciso Narcos, un mix Pitbull di colore nero. Con lui c’era Alessia, la sua persona di riferimento, che racconta una versione dei fatti molto diversa da quella fornita dalla Questura. L’episodio ha aperto un dibattito sulla gestione dell’intervento, sul peso dei pregiudizi verso i cani di tipo Bull e, secondo la giovane, anche su possibili discriminazioni razziali.
Le due versioni e l’agonia di Narcos
Secondo la ricostruzione ufficiale, i poliziotti sarebbero intervenuti per un controllo legato allo spaccio di droga e si sarebbero trovati davanti a “un Pitbull senza guinzaglio e museruola” che correva verso di loro ringhiando. L’agente avrebbe quindi ritenuto inevitabile sparare per proteggere sé stesso e i colleghi.
La versione di Alessia è opposta. Racconta che Narcos era legato a una panchina, addormentato tra lei e il compagno. Al sopraggiungere degli agenti il cane si sarebbe agitato, spezzando il guinzaglio. “È andato verso il poliziotto solo per annusarlo, non per aggredirlo. Lo abbiamo richiamato ed è subito tornato indietro”, spiega.
Secondo il racconto, proprio mentre Alessia tentava di afferrarlo per il collare, il poliziotto ha sparato un colpo in gola al cane. Narcos è rimasto agonizzante a terra per circa 40 minuti, mentre i soccorsi non arrivavano. Alessia racconta di aver contattato senza successo una clinica veterinaria e la Croce Gialla, mentre gli agenti avrebbero impedito a lei e al compagno di trasportare il cane in un centro specializzato. Narcos è morto tra le braccia della ragazza.
Dopo la sua morte, sempre secondo Alessia, un agente avrebbe consigliato alla famiglia di “cremare subito il corpo e cancellare foto e video dell’accaduto”.
Pregiudizi e discriminazioni
Il caso di Narcos non riguarda soltanto un singolo episodio. Riporta al centro del dibattito i pregiudizi che colpiscono i Pitbull e i molossoidi. Per la loro forza fisica e per la cattiva fama che li circonda, questi cani vengono spesso percepiti come pericolosi a prescindere dal loro comportamento reale. Alessia insiste sul fatto che il suo cane “non era affatto aggressivo”.
La giovane denuncia anche un altro tipo di discriminazione: quella razziale. Di origini domenicane, afferma di essere stata fermata più volte in passato proprio mentre passeggiava con Narcos. “Non è la prima volta che mi fermano. Io sono di colore, in più con un Pitbull… fa strano”, racconta con amarezza.
La morte di Narcos diventa così un caso simbolo, che solleva domande più ampie: quanto contano la paura e i pregiudizi nelle decisioni prese in pochi secondi? Esistono strumenti non letali per gestire situazioni simili? E quanto incidono l’aspetto della persona e la razza del cane nel determinare chi viene percepito come una minaccia?