Paesaggio Estense

Hebbero sempre mira que’ Prencipi Gloriosi d’accopiare assieme l’utile, et il dilettevole, […] e ciò seguì perciò più particolarmente nelle fortificationi fatte da essi attorno le mura della Città con tanta magnificenza, e maestà, […] che in se stesse contenivano e Pianure, e Colline, e Montagne, e Stagni, e somiglianza di Fiumi, e Grotte, e Palazzi, e Giardini, et Horti, e Parche, et Ucceliere, e Vivai, e Vigne, et in somma tutto ciò, che di vario, e di vago poteva dilettare l’occhio.

Così scrive Alberto Penna nel 1671 a proposito delle mura di cinta di Ferrara; ma questa descrizione illustra perfettamente anche il contesto dei “luoghi deliziosi”, ovvero le numerose residenze di campagna che gli Estensi fecero edificare tra il XV e il XVI secolo, oggi riconosciute dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, assieme alla città e al suo
paesaggio culturale deltizio.
Paradisi di magnificenza o giardini di un Eden ricostruito con simmetrica precisione, le Delizie erano luoghi di godimento dei sensi (spesso teatro di attività venatorie) e roccaforti di un’economia agricola che utilizzava le sue torri per stendere lo sguardo oltre i confini del parco.
Palazzi, ville, roccaforti e corti sorgevano spesso in prossimità di un corso d’acqua, in una terra che era percorsa, a quei tempi, da un reticolo di vie navigabili, frequentate a volte ancor più delle strade e dei sentieri.
Su quelle acque infatti trafficavano sandali dal fondo piatto e scarane cariche di mercanzie, ma anche eleganti burchielli e, quando i Duchi dovevano spostarsi, perfino il sontuoso bucintoro, con i suoi intagli preziosi e i rematori su ciascun lato.
Un orizzonte ricamato da una fitta rete di canali e affluenti del Po Grande, o da intere aree sommerse di acqua salmastra, che solo grazie al progetto di bonifca di Alfonso II (seconda metà XVI sec.) furono regolate in un sistema più ordinato ed efficiente.
Vie d’acqua che permettevano a mercanti e navigatori di raggiungere più velocemente città e castalderie, che richiedevano continuamente merci e servizi dalle numerose maestranze impegnate in scavi, costruzioni, decorazioni.
Fabbricati magnifici, che brillavano come miraggi visibili a considerevole distanza con i loro intonaci colorati, le mura e le merlature – nel caso del complesso di Mesola – con decorazioni verdi e gialle di terracotta invetriata.
Vere città strette attorno al palazzo signorile, fatte di cortili, giardini, portici e laboratori; uffici occupati da ispettori, cassieri e contabili, continuamente impegnati a gestire le proprietà, pianificare interventi di restauro, controllare che le maestranze eseguissero a dovere i loro compiti: tagliare pietre, scavare fossati, intonacare muri, costruire porte e finestre, riparare solai, dipingere o affrescare le pareti dei palazzi.
E ancora, magazzini, stalle, scuderie e granai; il forno, la cantina e i serragli per gli animali, a volte anche animali esotici, – leopardi, per esempio – come nel Barco di Ferrara.
E poi naturalmente i giardini, vere opere architettoniche in metamorfosi, alter ego dei palazzi signorili e loro estensioni “naturali”.
Lo stesso Penna ci riferisce di spazi verdi arredati con spalliere di rose, vasi di cedri, ulivi, pergole ombrose e peschiere brulicanti di pesci.
Ma anche pioppi e olmi – più tipici dei paesaggi di pianura -, vigne e frutteti, scanditi da scaloni di pietra e balaustre sormontate da globi di marmo; poggioli e siepi di bossi, voliere e labirinti; grotte e fontane. Così dovevano apparire i giardini di Belriguardo, ma anche alcune delizie cittadine, oggi scomparse.
La fine del 1500 segnò anche il declino delle fortune estensi: il taglio di Porto Viro voluto dalla Serenissima, con l’interramento progressivo del Po di tramontana, ridefinisce il paesaggio e la portata delle attività del ducato; allo stesso tempo, l’estinzione della discendenza legittima estense e la Devoluzione (1598) che riportò il ducato nelle mani della Santa Sede, sancì definitivamente la fine di un’epoca.
Settanta anni più tardi Alberto Penna scrive:“entrando ne luoghi delle sudette delitie, per il Portone della Giara, più non s’incontrano altrimenti Giardini, non Laberinto, non Uccelliera, non Grotte, e non fonti per essere stati tutti rovinati, disfatti e spianti; Più non si discerne Peschiera, per essere stata ripiena di letame, et uguagliata al suolo; Più non Vigne, non Pergolati, e non fruttari, per essere stati tutti tagliati, e sradicati […]”.
Oggi le Delizie, di proprietà sia pubblica sia privata, sono state in gran parte restaurate e adibite a scopi museali, culturali, ricreativi o produttivi, recuperando un ruolo qualificato di poli attrattivi del territorio. Costituiscono una rete ideale in cui muoversi per esplorare ed approfondire le conoscenze di un nobile casato e di tutta una grande stagione storica.